ALBERTO SCIAMPLICOTTI

La Fram


I giorni che trascorriamo a Longyearbien dopo la traversata scivolano via tranquilli: una bella cena al ristorante con la più ampia selezione di vini d’Europa e un po’ di vagabondaggio per i negozi a caccia di qualche regalo per farsi perdonare dei giorni di assenza dalla famiglia. Compro così una finta pelle d’orso per mio figlio Matteo (una cosa che successivamente non mancherà di terrorizzarlo) e per Laura una parure composta da orecchini, ciondolo e spilla che portano impressi nell’argento il calco di fossili trovati alle Svalbard. Poi l’aereo per Oslo, dove dobbiamo passare una notte in attesa della coincidenza che ci riporterà in Italia. Qui accettiamo volentieri l’invito del nostro amico norvegese PerMorten che, dopo una telefonata di accordo con la moglie, ha deciso di ospitarci per la notte e per la cena: per una volta i barbari invasori non arrivano dal nord ma dal profondo sud dell’Europa. Depositati i bagagli nel garage di PerMorten, prendiamo l’autobus che ci porterà nel centro della città: la nostra principale intenzione è quella di visitare il Museo della Fram, dedicato a Nansen, Amundsen, Svendrup e a tutta la storia dell’esplorazione polare. Entrare in questo grande edificio dalla sezione triangolare, costruito intorno alla nave Fram nel momento in cui alla fine dei suoi vagabondaggi artici fu tirata a terra, è un po’ come visitare il museo della NASA a Houston. In fin dei conti le avventure in cui si imbarcavano questi personaggi non erano poi molto differenti dai viaggi spaziali degli anni ‘60: si saliva su un mezzo e una volta a destinazione si era su un terreno in cui la presenza e la vita dell’uomo non era affatto considerata.

Eppure, quando si varca la soglia del museo questa sensazione non colpisce subito. Forse è perché proprio sull’ingresso è sistemato la rivendita di libri e souvenir tutti con tema l’esplorazione polare. Bisogna fare qualche passo, superare lo stand posto al centro del corridoio e gli scaffali carichi di libri dalle edizioni in inglese, francese, norvegese, tedesco e persino in italiano, per essere sopraffatti dall’emozione. Sopraffatti credo sia il termine giusto perché dietro una statua di Nansen a grandezza reale troneggia imponente la sua nave: si alza lo sguardo da sotto quelle che erano le opere immerse e si seguono le ordinate verso l’alto, verso il ponte e le opere emerse, la polena che sembra ancora in procinto di indicare nuove rotte, verso gli alberi e il sartiame che arrivano fin quasi al soffitto dell’edificio e l’unica cosa che si riesce a fare è trattenere il fiato per lo stupore. Non è difficili immaginare la tolda, i verricelli e tutto quanto imprigionati da un guscio di ghiaccio mentre la Fram va alla deriva, trasportata dal movimento della banchisa, verso il Polo Nord. I due giganteschi orsi bianchi, imbalsamati eretti sulle zampe posteriori e alti quasi quattro metri, posti a guardia dell’ingresso ai piani superiori, alla fine non sono che un dettaglio secondario del racconto di quest’epopea esplorativa che durante il nostro viaggio alle Svalbard abbiamo avuto sempre in mente.

SVALBARD (14)

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