ALBERTO SCIAMPLICOTTI

Il Ghiacciaio Nansen


Oggi è una giornata uggiosa: nuvole grigie coprono in maniera omogenea il cielo. Dopo il sereno e l’azzurro di ieri, lentamente tutto è stato avvolto da questa bambagia plumbea. Il cambiamento è iniziato questa notte, dopo le due. Lo so per certo, a quell’ora ero sveglio, impegnato nel mio turno di guardia all’orso bianco. Gli ultimi raggi di questo eterno sole se li è goduti il solito Paolino e qualcuno dei suoi amici, partiti dopo l’una per l’ultima sciata della giornata (o forse sarebbe meglio dire, vista l’ora, per la prima di un nuovo giorno). Con una traccia che risaliva a larghi zig-zag un costone, hanno raggiunto la cresta di una nuova vetta per poi iniziare una discesa veloce ad ampie curve. Ora invece, questo cielo cenerino invita più che altro a rimanere nel sacco a pelo. Invece basta un accenno, un piccolo pertugio celeste nelle nuvole, per preparare gli zaini e incollare le pelli sotto gli sci. Puntiamo verso la facile cresta che ci separa dal ghiacciaio Nansen, una salita non ripida che con un lungo anello porta in vetta alla vetta principale dello stesso massiccio salito poche ore prima da Paolino e dai suoi compagni. Mano a mano che saliamo aumenta il vento e le nuvole fuggono sotto la sua spinta, l’aria si fa fredda e arriva presto il momento di infilare un fleece sotto la giacca a vento. Ma la pista che seguono i cumuli bianchi che corrono per il cielo oggi è tracciata a bassa quota, così più ci avviciniamo alla vetta e più entriamo nei banchi delle nubi corsare e contemporaneamente più i contorni si fanno indistinti intorno a noi. Sulla vetta rimaniamo solo pochi minuti: qualche foto, soprattutto all’ingresso del fiordo di Borebukta e sul ghiacciaio Nansen, al cui centro una grande depressione orlata delle bianche colonne dei seracchi indica il fronte del ghiacciaio, ma anche alla linea di costa che sembra perdersi verso l’orizzonte. Oltre il bacino del ghiacciaio Nansen si vedono una sequela infinita di cime, tutte disposte con andamento nord-ovest/ sud-est: è come se il gigantesco pettine dell’erosione glaciale abbia pettinato tutti i rilievi in questo verso. Quando iniziamo la discesa, nel primo tratto il vento è ancora forte, ma basta perdere quota, perché il versante che cominciamo ad avere alle nostre spalle fermi le raffiche. La nebbia invece rimane, o per meglio dire la scarsa visibilità data da queste nuvole veramente basse. Il tutto non sarebbe nemmeno poi così male, alla fin fine si riesce a vedere bene fino a una cinquantina di metri di distanza, se l’umidità dei cumuli non avesse appesantito lo strato nevoso. Così la sciata si complica, i nostri attrezzi si fanno più lenti e imprimere il primo impulso all’inizio di ogni curva implica uno sforzo più grande del solito. Certo, ci si diverte di più con una neve perfetta, firn o polvere, e il sole caldo alto nel cielo. Eppure il fascino della montagna è anche questo: cercare di trovare la strada per gustare al meglio ogni minuto fra neve e rocce. Come nella vita d’altronde…


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