La cima Sud del Polhøgda
Arriviamo sotto le pendici del Polhøgda completando la traversata del ghiacciaio di Esmark in poche ore. Il cielo si è mantenuto sempre senza una nuvola anzi, nel momento di montare il campo l’aria aveva quella piacevole temperatura che contraddistingue le giornate della primavera in montagna. Sulla destra, il ghiacciaio degrada verso il mare con un pendio tranquillo e uniforme. Oltre si intuisce il fiordo ancora in parte ghiacciato. Montiamo le tende del campo con lo sguardo verso il pendio immacolato del versante Ovest della cima Sud, quella che sovrasta le nostre case mobili in stoffa. L’idea è quella di far presto, per riuscire a lasciare la traccia dei nostri sci su quella neve prima di cena.
La salita avviene lungo la costa che divide la cima principale, la Nord, dalla secondaria, la Sud, più bassa solo di pochi metri. Sono le 16,00 passate e normalmente sarebbe impensabile partire per una gita di sci alpinismo a quest’ora, ma a queste latitudini la temperatura non subisce praticamente variazioni sostanziali durante le 24 ore e il sole, anche in questo momento, continua a splendere alto nel cielo. Ci saranno pochi gradi sotto lo zero, ma la salita è ripida e non si può fare a meno di sudare. Scatto qualche foto a Leonardo che guadagna quota: dietro di lui, piccole e già in basso, le macchie colorate di verde delle tende del campo. Sullo sfondo, nelle infinite tonalità che vanno dal blu al celeste, il mare dello stretto che separa la costa dalla città mineraria di Barentsburg con un filo scuro e sottile si leva dalle ciminiere di quest’ultima verso il cielo. Continuo a scattare foto e a girare metri di nastro magnetico, finché la batteria della telecamera decide che è arrivato per lei il momento di morire, decesso da corto circuito probabilmente imputabile all’umidità che trasudo per la fatica della salita. Cosa antipatica, soprattutto per il fatto che ho lasciato il pacchetto di energia di ricambio in tenda, attaccato al pannello solare per la ricarica.
Sul colle il panorama si apre sul fiordo di Borebukta e sul ghiacciaio Nansen. Avremmo dovuto arrivare qui l’ultimo giorno e fare un campo in attesa della motonave, ma sembra che l’accesso alla costa sia impedito dal fronte del ghiacciaio, arretrato di molto e dal conseguente basso fondale. Peccato, sarebbe stato bello concludere il nostro viaggio scendendo da un ghiacciaio con un nome così pieno di significato per tutti quelli appassionati di esplorazione artica.
Dal colle, la cresta che conduce alla vetta Sud del Polhøgda è stretta ed affilata: procediamo con gli sci uno dietro l’altro su un lama di neve larga meno di 40 centimetri. Scariche di adrenalina ci attraversano ogni volta che la lama di uno sci stacca croste di neve che precipitano rotolando verso il basso. In vetta scattiamo le solite foto di rito prima di godere della neve che ricopre il largo pendio che domina il nostro campo. Il primo tratto della discesa è abbastanza ripido, forse sui 40° gradi, ma la neve è trasformata, un eccellente firn che ci porta quasi per mano verso il basso. In fondo ci fermiamo a rimirare le tracce che la nostra sensibilità e, soprattutto la capacità di ognuno, ha lasciato incise sul manto nevoso. Le migliori sono quelle di Isabella, sembrano tracciate con il compasso, uguali, simmetriche una all’altra e senza un filo di indecisione.
“A metà avrei voluto fare anch’io qualche foto agli altri che scendevano” dice con la gioia che le sprizza da ogni poro, “ma la discesa era troppo bella per riuscire a fermarmi!”…
SVALBARD (11)
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