Trichechi e renne
Dopo la giornata passata sulle nevi del Daudmannen decidiamo di spostare il campo e di cominciare quindi la nostra traversata. Ci dividiamo in due gruppi: un gruppo dopo aver smontato le tende si dirigerà subito verso il Geologpasset, l’altro invece salirà una vetta davanti al Protektoraksia per poi seguire le tracce del primo fino al passo dove prevediamo di montare il nostro secondo campo.
Scendiamo il ghiacciaio Harriet (Harrietbreen) tenendoci sulla sinistra del Knuvien, una elevazione di 333 metri, un panettone di neve che si erge a poche centinaia di metri dalla costa. Subito dopo averlo superato, ci accorgiamo che sul pack che orla la sponda nord del fiordo di Trygghamann ci sono quattro grossi trichechi stesi a prendere il sole. Li osserviamo per qualche minuto con il binocolo. Da lontano sembrano solo poco più che quattro macchie nere che spiccano sul bianco del ghiaccio, ma confrontandole con quanto hanno intorno si capisce che le loro dimensioni sono molto più che rispettabili: sono quelli di quattro veri giganti della natura.
L’Harrietbreen, nel punto dove si incontra con il ghiacciaio di Kjerul, cambia di pendenza: l’ultimo tratto è più ripido del precedente e Paolino ha un ghigno divertito quando vede il pendio inclinarsi davanti a noi. Rapidamente apre i moschettoni che legano l’imbracatura alla slitta, sale a cavalcioni di quest’ultima e dopo aver detto “Era da questa mattina che aspettavo questo momento!” con una risata prende a scendere lungo la linea di massima pendenza verso il Kjerulbreen.
Ci aspettiamo tutti che lui, la slitta, bagagli e bagaglietti finiscano gambe per aria al primo ostacolo, invece riesce a completare la discesa con successo. Solo allora, incoraggiati dalla sua performance, inforchiamo i nostri purosangue di vetroresina e plastica per seguirlo, fra urli e risate, allo stesso modo.
Prendiamo a risalire verso il Geologpasset. Tutt’intorno il paesaggio è quanto di più vicino possa essere al paradiso degli alpinisti e degli sciatori: montagne, montagne e montagne di ogni forma e tipo, dai mammelloni candidi fino alle erte pareti di ripide vette. In particolare ci colpisce il Krokfjellet, decorato da uno stupendo ghiacciaio sospeso. Quando arriviamo al valico è solo per lasciare subito il passo alle nostre spalle per cercare un buon posto dove mettere il campo. Ci lasciamo dietro anche il versante ovest del Geologgryegen su cui sarebbe stato divertente lasciare le nostre tracce in discesa. Circa due chilometri più a nord, spunta invece la piramide dello Spiret (cupola in norvegese), solcata da tre canali verticali che visti dal punto dove decidiamo di piazzare il campo sembrano essere molto ripidi. Il cielo, che era rimasto scoperto durante tutta la risalita dello Kjerulf, si è ora coperto. Montiamo così le tende sotto una leggera ma ventosa nevicata. Sono le dieci di sera quando arriva anche il gruppo di quelli che avevano preferito risalire il Protektoraksia. Mentre con Filippo siamo nella nostra tenda, intenti a fondere neve per fare l’acqua necessaria per cucinare la cena, una voce ci chiama da fuori. A circa duecento metri di distanza dal nostro campo, sta passando una grossa renna dal folto pelo. Transita fra noi e lo Spiret e si ferma un paio di volte ad osservarci, incuriosita da noi almeno quanto noi da lei. Poi, con l’indifferenza della natura nei confronti delle cose umane, si allontana verso il Geologpasset...
SVALBARD (9)
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