Il Daudmannen
Il nostro è un gruppo eterogeneo e di varie provenienze: siamo per lo più tutti telemarkisti, aficionados del tallone libero, eppure diverse anime convivono ugualmente all’interno del nostro gruppo. Ci sono quelli per cui il senso di una traversata con gli sci sta nel rapporto con il territorio e nello spostarsi attraverso lo stesso e ci sono quelli che in cui è più forte l’anima freeride e ludica dell’attrezzo sci. Per quanto mi riguarda mi piace credere di essere nel mio piccolo un modesto discendente di Fridtjof Nansen più che un coetaneo di Seth Morrison. Questo non vuol dire che non gradisca le discese veloci su bella neve, semplicemente credo però che il vero senso dell’attrezzo sci sia l’enorme possibilità che offre di poter vagare a piacimento sulla montagna d’inverno, in discesa come in salita. Forse è per questo che la neve che prediligo non è quella polverosa, ma la neve cotta e ricotta dal sole, la neve mediterranea per eccellenza, il firn. In primavera, quando le giornate si fanno più lunghe e il sole inizia a sollevare l’arco del suo cammino sulla sfera celeste, mi piace assaporare lentamente il respiro della montagna.
E’ fine maggio e sulle montagne di casa, in Italia, di neve ne è rimasta ben poca. La primavera sta quasi per lasciare il posto all’estate, eppure qui alle Svalbard tutto questo sembra essere proprio lontano. Fra qualche tempo la neve comincerà a sciogliersi e scivolerà verso il mare in mille rivoli: non ora però. Questa mattina il freddo si fa ancora sentire e le vette intorno sono circondate da una fitta nebbia. Saliamo sci ai piedi, lasciando il campo deserto nella speranza che a nessun orso venga in mente di esplorarlo alla ricerca di cibo in nostra assenza. Le diverse andature di ognuno di noi fanno sfaldare il gruppo quasi subito. Faccio la mia salita chiacchierando con Bjorg, un ragazzo norvegese di Oslo. Dopo un traverso ripido ci affacciamo sul canale che porta alla vetta del Daudmannen: qualcuno ha già cominciato a scendere, tracciando rapide curve nelle neve polverosa. Fontane di polvere bianca si alzano dagli spigoli degli sci ad ogni cambio di direzione.
Per un attimo fra la nebbia si apre un varco e lo sguardo può spingersi sui versanti a sud, quelli che scendono direttamente sul mare. Lontano si intuisce la costa dove sorge la cittadina di Barentsburg.
Il tempo di sfilare le pelli e comincio la mia discesa. Bjorg mi è davanti: poche curve veloci e in pochi attimi è già un centinaio di metri più in basso. Da parte mia preferisco scendere più lentamente. La nebbia ora è tornata ad infittirsi e a nulla vale la maschera da sci che ho calato davanti gli occhiali da vista: in pochi tempo sono appannati l’una e gli altri. Così, fra lo strato umido sulle lenti, la neve che si alza ad ogni curva e che si deposita sulla maschera e quella che raccolgo già dalla prima caduta, la mia è una discesa braille. Riesco comunque a scattare qualche buona foto e a girare qualche minuto di video. Una volta tornati alle tende con Filippo, compagno di questa come di tante altre gite sulla neve, prepariamo un brodo caldo. La febbre della discesa però ancora brucia in alcuni di noi che partono, dopo una sosta, per nuove gita. Alla fine della giornata (ma può finire un giorno che non ha notte?) ci sarà chi avrà accumulato sulle gambe fino a quattro discese…
SVALBARD (6)
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