Il primo campo
La Polar Girl, la motonave con cui facciamo la parte di avvicinamento via mare, entra nel fiordo da cui avrà inizio la nostra piccola avventura polare alle isole Svalbard. Il capitano osserva con il binocolo la costa, per sincerarsi che non vi siano blocchi di ghiaccio galleggianti sulla nostra rotta. Osserva continuamente anche l’ecoscandaglio e il gps per decidere il punto migliore per calare l’ancora. Poi, fatta la scelta, sale sul ponte superiore per azionare un verricello con cui cala in mare un gommone e una lancia in lamiera, i mezzi con cui trasborderemo. Cominciamo a preparare i bagagli da portare a terra, accatastando le slitte, gli zaini e gli sci vicino la murata di dritta. Havard, con il fucile a tracolla, insieme a uno di noi e un paio di slitte e il primo a scendere a terra. Chi effettua il passaggio indossa un salvagente da alto mare, una specie di camicione arancione imbottito di polistirolo e dotato di patta sottoinguinale, cappuccio con visiera trasparente e di un grosso fischietto. Mentre si avvicinano alla riva Havard, verifica attentamente che non siano presenti orsi o trichechi. L’andirivieni delle due piccole imbarcazioni è continuo e cessa solamente quando tutte le persone e le cose hanno raggiunto la spiaggia ghiaiosa. Quindi iniziano finalmente i veri preparativi per l partenza del nostro gruppo: i braccetti delle slitte vengono distesi e montati, vengono fissate le pelli d’ascensione agli sci, si cerca di razionalizzare la distribuzione dei pesi fra slitte e zaini. Quando partiamo Havard guida il gruppo trainando una slitta più lunga delle nostre di un buon mezzo metro. A tracolla porta sempre il fucile.
“Cerchiamo di stare compatti: gli orsi attaccano solo chi si allontana dal gruppo” ci dice prima di mettersi in cammino, “inoltre è più facile incontrarli vicino alla costa, proprio dove siamo ora!”
Nel primo tratto, il terreno è meno ripido e il nostro gruppo sale in maniera compatta ma disordinata, ognuno preso in chiacchiere con il proprio vicino. Sul terreno le tracce dei nostri sci si sovrappongono in una ragnatela di incroci e intersezioni che viaggiano verso un unico punto. Poi, quando la pendenza aumenta, camminiamo in fila indiana e la traccia diviene unica. Ad un colle fra il Protektorfjellet e il Lagmannstoppen montiamo il nostro primo campo. Le due vette che abbiamo intorno sembrano sovrastare il campo, ma in realtà la loro altezza sul livello del mare è tutto sommato modesta: la più elevata fra le due arriva a malapena a 900 metri e sono anche fra le cime più alte della zona. Eppure per uno strano gioco di prospettiva sembrano essere giganti di neve e roccia. Il contrario di quello che si prova in Karakorum, quando cime di oltre 7000 metri, poste sui bordi di ghiacciai larghi decine di chilometri sembrano invece essere molto più basse e più vicine. Mi torna in mente la traversata in sci dei ghiacciai dell’Hispar e del Biafo quando si camminava per ore e giorni interi avendo intorno sempre lo stesso paesaggio e le stesse montagne. Qui invece, dove le vette sono a poche centinaia di metri sopra il mare, l’effetto, per assurdo che possa essere, è l’opposto e tutto sembra essere lontano e più grande del reale.
Dopo aver montato le tende viene organizzata la guardia per l’orso bianco, il polar bear come viene chiamato qui. Dalle 19,00 della sera alle 7,00 della mattina ci alterneremo in turni di un’ora. Il compito della vedetta è abbastanza semplice: si tratta di vagare intorno al campo tenendo gli occhi aperti su tutto quello che si muova sulla neve. In caso di avvistamento di un possibile orso si chiamerà Havard con il suo fucile. Per ingannare il tempo, ma soprattutto per riscaldare il corpo e lo spirito nelle ore della veglia notturna, Paolo Tassi ha comprato al duty free dell’aeroporto una bottiglia di Giovanni Il Camminatore, etichetta nera, miscela di whisky scozzese invecchiato di 12 anni che non sopravviverà alla seconda veglia di guardia di queste strani notti dal sole alto nel cielo…
SVALBARD (5)
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