ALBERTO SCIAMPLICOTTI
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BRUNO TRENTIN

In questi giorni in cui nonostante ci si avvicini alle elezioni si fa un gran parlare del ruolo dei politici contrapposto a quello dei “tecnici”, in cui il fare e vivere per la politica per molti è divenuto sinonimo di corruzione, di malaffare, di collusione con mafie, cammorre e ‘ndranghete, mi è sembrato giusto riproporre su queste pagine una vecchia intervista (realizzata a cavallo fra 2001 e il 2002) a Bruno Trentin che oltre a essere stato partigiano, sindacalista, politico e parlamentare europeo, fu da sempre anche uomo appassionato di montagna e alpinismo. Tanti di noi che hanno frequentato le falesie storiche di Roma (in primis il Morra) e poi le pareti del Gran Sasso, lo hanno incontrato sui sentieri che portano alle pareti o in parete, a una sosta, spesso in compagnia di Franco Alletto, Franco Cravino e Antonio Muraro. Credo che possa essere interessante rileggere e riavvicinarsi a questa figura decisamente importante per la società italiana del secondo dopoguerra. Questa breve intervista fu pubblicata nel 2002 sul numero 260 della Rivista della Montagna.


Figlio di Silvio Trentin esiliato politico, deputato e Professore Universitario costretto a lasciare l’insegnamento per non aver voluto prestare giuramento di fedeltà al regime fascista, Bruno Trentin nasce in Francia, dove rimane fino all’età di diciasette anni, crescendo a contatto con la comunità antifascista internazionale della città di Tolosa, crocevia, durante la guerra civile, per tutti quelli che si recavano in Spagna a combattere. Nel 1943, durante la Repubblica di Vichy, fa la sua prima esperienza di carcere, da cui evade, rientrando clandestinamente, insieme al padre, in Italia il 4 settembre di quell’anno. A Padova entra a far parte del Comitato Regionale di Liberazione. A 17 anni è Comandante di una brigata partigiana di “Giustizia e Libertà”. Dopo la morte del padre, sfugge ai rastrellamenti,  ed entra a far parte del Comitato Centrale, fino alla fine della guerra. Completati gli studi, a ventidue anni, è nell’Ufficio Studi della Cgil. Nel 1962 è segretario del Sindacato dei Metalmeccanici, proprio nel momento più importante per la storia di questo movimento: è infatti con questo ruolo che vive il ‘68 e l’autunno caldo. Diventa in seguito Segretario Generale della Cgil, fino al 1994. Nel 1993 stipulò, insieme a CISL e UIL, uno storico accordo sulla politica dei redditi che pose fine al sistema della cosiddetta "scala mobile", un meccanismo di riadeguamento automatico dei salari al costo della vita. Fu membro del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL), dal 1994 diresse l'ufficio programmi della CGIL e dal 1999 al 2004 fu parlamentare europeo tra le fila dei Democratici di Sinistra.


Bruno Trentin è morto a Roma il 23 agosto 2007, stroncato da una polmonite resistente alla terapia antibiotica e per una febbre intrattabile, aggravata da una carenza immunitaria legata al grave trauma cranico subito un anno prima, causato da una caduta in bicicletta.



La montagna vissuta sotto i tutti i suoi aspetti. Dall’escursionismo, primo incontro giovanile, all’alpinismo, sui monti dell’Appennino e sulle Alpi, passando per la montagna come luogo di rifugio e di vita quotidiana durante gli anni della Resistenza. I mille volti di un amore nei ricordi e nella vita di Bruno Trentin. Siamo in un caffé di una piazza del centro di Roma, fra turisti inglesi, americani e gli onnipresenti giapponesi armati di macchine fotografiche.


“Avevo quindici anni quando, da solo e in tenda, feci un giro a piedi sui Pirenei: un trekking, come si dice oggi. In quel periodo vivevo fuori dall’Italia: mio padre era un oppositore del regime fascista. Grandi camminate a piedi le ricordo anche sulle Prealpi venete, quando ero in clandestinità, dopo l’otto settembre. L’arrampicata, il rapporto con il verticale, con la roccia, arrivò dopo intorno ai trent’anni. Andai con una guida e con un amico a fare una via semplicissima sul monte Pelmo. Fu una rivelazione. Al grande amore per la montagna si sommò la scoperta che l’arrampicata poteva essere così autentica e così impegnativa, fisicamente ma soprattutto mentalmente, da cancellare qualsiasi altra cosa. Per uno come me, che in qualsiasi situazioni si trovi, non riesce a staccarsi dalle cose quotidiane, dai problemi del lavoro e dalle situazioni di tutti i giorni questo fu come un lavaggio del cervello: lo stato di tensione controllata dell’arrampicata mi liberava delle ansie quotidiane, trascinandomi a forza in una dimensione nuova.”


“Insomma, l’alpinismo e l’arrampicata essenzialmente come un fatto terapeutico?”


“Al principio sicuramente, poi la passione crebbe, come per ogni attività che impegna al massimo la mente, facendo lievitare così tanto l’entusiamo che ancor oggi è questo il modo che preferisco per vivere la montagna. Potrei dire che tutto questo è rappresentato da una salita a cui sono molto legato. Non si tratta della via più difficile su cui ho arrampicato, ma quella che certamente più rappresenta, anche per le condizioni in cui fu fatta, il mio ideale di alpinismo. Dopo un tentativo respinto, con un amico facemmo la Sud della Marmolada per la via Comune. Andavo da primo di cordata e la ricordo come una salita sofferta, soprattutto per il cattivo tempo. Arrivamo in vetta in mezzo a una bufera, fra tuoni e fulmini. Nella capanna sulla cima ci accolse il gestore. Se ricordo bene veniva dalla Calabria e si era trasferito lì per curare i suoi polmoni malati. Passamo una notte fantastica, bevendo e mangiando, mentre fuori infuriava l’inferno. Un bel ricordo veramente e una via da rifare. Fù un momento epico, vissuto con la forza della gioventù. In seguito mi impegnai anche su vie decisamente più difficili.


(SEGUE)

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