Alberto Sciamplicotti
GIU’ DALLA MONTAGNA
Correvo fra gli alberi e i rami dei cespugli di rosa canina mi graffiavano le gambe nude nei pantaloni corti. Il fazzoletto annodato in testa era quello dei pirati, dei briganti, dei soldati e dei partigiani contro i tedeschi. Era tutto questo e mille altre cose ancora. D’altronde il bastone in mano era di volta in volta un archibugio, un coltello o una pistola automatica e dietro l’ombra di ogni albero o cespuglio c’era un nemico, umano oppure mostruoso, con cui combattere.
Qualche metro più in là Fabrizio era un samurai che roteava la sua spada contro invasori stranieri.
Le biciclette erano in terra, fuori dal campo di battaglia al limitare del bosco sul sentiero alla base della montagna.
Il sole filtrava tra le foglie delle chiome verdi e creava macchie di luce sul terreno ognuna delle quali era una mina pronta a esplodere. Saltavo di ombra in ombra per evitare lo scoppio che mi avrebbe dilaniato.
Fabrizio mi superò e arrivò al margine superiore del bosco. Lo raggiunsi e mentre il respiro tornava regolare dopo la folle corsa, strappavamo bacche rosse dai cespugli e succhiandole ci arrampicavamo sulle rocce all’apice del monte, discutendo su chi tra noi fosse Bonatti o Maestri.
Dal grosso masso che costituiva la vetta lo sguardo spaziava sull’orizzonte: vedevamo le altre montagne, i boschi e giù in basso i rettangoli colorati del terreno coltivato e giocavamo a strappare i fili d’erba che crescevano fra le rocce.
-Dobbiamo andare sulla Montagna dei Due Corni- disse Fabrizio sdraiandosi su un sasso piatto -Lì ci sono i più bei boschi dei dintorni ed è anche la montagna più alta. Ci si arrampica veramente.-
Cercavo di prendere un grillo e lo inseguivo in ginocchio, con il braccio proteso e la mano aperta per catturarlo.
-Lo sò. Ho visto gli alpinisti che scendevano e avevano le corde rosse che uscivano dagli zaini. Sarebbe veramente una bella avventura.- Il vento muoveva i lunghi steli d’erba facendoli sbattere sul mio viso, li spostavo con la mano e mi urtavano l’orecchio che prudeva solleticato.
Le giornate erano sempre più corte e di lì a poco le lezioni scolastiche avrebbero segnato la fine delle vacanze estive.
-Mio padre dice che partiamo sabato- riprese Fabrizio che guardava sempre verso la Montagna dei Due Corni.
Dalla parte opposta l’orizzonte scendeva verso la pianura, degradando dalle montagne alle colline in direzione della città: una spessa foschia umida impediva di cogliere i dettagli di questa parte del paesaggio.
Con un gesto veloce chiusi la mano su di un grillo prima che potesse saltare dal fiore su cui era.
-Allora dobbiamo assolutamente fare quest’arrampicata domani- dissi dischiudendo lentamente le dita per osservare l’insetto. -E’ l’ultimo giorno che ci resta- conclusi.
Il grillo approfittò della prima breccia disponibile per saltare via.
Ci tuffammo nella discesa correndo attraverso il bosco e passavamo vicino agli alberi facendo curve strette in veloci cambi di direzione.
In sella alle nostre biciclette pedalammo con tutta la nostra forza e ci sorpassavamo ridendo mentre ci rincorrevamo sul sentiero che portava a casa.
- Uaaaooo! - urlavamo passandoci vicino e le gomme mordevano veloci la ghiaia schizzandola ai lati e dietro di noi.
Ci accordammo per incontrarci quella sera e mettere a punto il piano per l’avventura del giorno seguente. Dopo la cena ci dovevamo vedere al bar di Agnesina, sapevamo che avevano portato un nuovo flipper e feci in modo di arrivare prima e con in tasca una manciata di monete per avere il tempo di provarlo.
Le biglie d’acciaio rimbalzavano sulle molle e sui gommini accendendo spie colorate mentre il totalizzatore ticchettava allegro. Le campanelle suonavano e i cicalini ronzavano e riempivano il bar di rumori elettrici che non udivo: l’orecchio era invece rapito dai discorsi che Giuliano ed Erasmo intrecciavano a pochi metri di distanza. Erano di qualche anno più grandi di noi e le scorribande che compivano sembravano ai nostri occhi epopee irraggiungibili e misteriose. Erano alti e magri di quella magrezza propria dei giovani quando i loro corpi crescono formando l’abbozzo di un fisico adulto. - Allora rimaniamo così - stava dicendo Giuliano - Una lampadina tascabile la abbiamo e tu e Fausto portate le candele per riserva.-
- Ieri però c’è stato il funerale del vecchio zì Giotto - disse Erasmo. Aveva in mano un bicchiere di vetro, lavorato a coste e con incisa la scritta Birra Peroni, pieno a metà di spuma e sorseggiava la bibita scura e ghiacciata.
- E allora? Non avrai mica paura, anzi sarà sicuramente più divertente: c’è anche la luna piena! - rispose Giuliano. - Certo che un’altra torcia elettrica ci avrebbe fatto comodo - aggiunse.
Diedi un colpo troppo forte al flipper che andò in tilt.
- Ho due torce e se lasciate venire anche Fabrizio e me una potrei prestarvela.- Le parole erano uscite da sole, spinte dalla voglia di partecipare a quell’avventura.
- Ma se non sai nemmeno dove vogliamo andare, - disse stizzito Erasmo - e poi di che t’impicci? -
In quel momento entrò Fabrizio e si fermò vicino al flipper, dietro di me, rimanendo in silenzio e cercando di capire di cosa si stesse parlando.
- Invece lo sò benissimo - risposi - Volete andare a fare un’esplorazione notturna del cimitero -
- Ma a voi non vici portiamo.- fece Giuliano - Siete troppo piccoli e ve la fareste sotto.-
Era l’unico tra noi che già si radesse periodicamente la barba e ostentava sempre un pacchetto di sigarette, che teneva bloccato sotto la manica corta e rovesciata della maglietta, come fosse un generale che mostrasse i suoi galloni.
- E allora non vi prestiamo la torcia - dissi deciso.
- E poi noi non ce la facciamo sotto - aggiunse Fabrizio che pur offeso per essere stato paragonato a un bambino piccolo cominciava a comprendere il motivo del contendere e voleva far valere i suoi diritti di partecipazione alla gita notturna.
Giuliano guardò Erasmo e ammiccando gli chiese - Che dici li facciamo venire? -
Erasmo finì il suo bicchiere di spuma e si grattò il naso - Non saprei…-
-Ma sì, che vengano pure- decise Giuliano alla fine, -Ci divertiremo anche di più.- poi rivolgendosi a noi - Ci vediamo fra un’ora sulla tomba di zì Giotto e attenti ai lupi mannari e ai fantasmi che c’è la luna piena! -
-Andiamo subito a prendere le torce- dissi a Fabrizio -altrimenti non facciamo in tempo-
Uscimmo dal bar e sentimmo Erasmo urlarci dietro: -Prendete anche i pannolini così sarete più sicuri di non sporcarvi!-
All’ingresso del cimitero fummo presi dai timori.
Era un paese piccolo dove tutti si conoscevano e sembrava inutile chiudere a chiave o con un lucchetto l’ingresso del camposanto. Il cancello in ferro battuto gemette sui cardini e sgusciammo dentro. La luna stava sorgendo solo allora ed era ancora una lama chiara dietro la collina. Sotto le lapidi erano accese candele e moccoli rossi e le fiammelle tremolanti rischiaravano i marmi e le croci con una incerta luce arancione.
Addossati al muro di cinta i loculi formavano un lungo edificio bianco e la piccole piastrelle ovali di ceramica, con sopra i ritratti, erano simili a finestre con persone affacciate. Dietro la pietra lucida sapevamo però esserci solo legno marcio, ossa e polvere.
-Forse era meglio se l’appuntamento era fuori dal cancello- sussurrò Fabrizio.