Loretta Spaccatrosi
E IO CHE FACCIO IO? ASPETTO IL VENTO
La palla è partita. Sta viaggiando altissima nel cielo senza nessuna intenzione di fermarsi. Ma i rami dell’albero più alto del giardino la prendono, l’abbracciano e non la lasciano più andare. Lele la guarda. Si gira. Mi guarda. “E io, che faccio io?... aspetto il vento!....” ci sediamo insieme sul prato e inizia l’attesa, silenziosa, avvolgente. Può durare dieci minuti come tre ore, forse anche più. Dipende solo dal vento, da quando lui deciderà di regalarci un soffio del suo alito per restituirci la nostra palla. Sono giorni che lanciamo la palla contro il cielo. Giorni che aspettiamo il vento. Sono anni che sfidiamo i rami dell’albero e che ci sediamo avvolti dal silenzio di una frase e di una speranza: “e io che faccio io?..aspetto il vento…”
Cinque anni fa lele arriva al centro, selvaggio come un uomo antico. 16 anni. un corpo da giocatore di rugby, una mente che si divertiva a farlo rimanere incastrato tra i giochi di parole e gli spicchi di realtà che non riusciva a decifrare. arriva nel reparto dove sono educatrice che non si fida più di nessuno. è stato in ospedale e poi in un altro centro dove lo tenevano sedato al massimo e sorvegliato a vista da due uomini che lo bloccavano appena tentava di muoversi. arriva e subito scappa inseguito dai sue due energumeni. gli vado dietro. non ne vuole sapere di me. Diffida di tutto e tutti e non ci crede che voglio solo stare con lui. corro per sei ore di seguito.
Torno a casa e inizio il mio allenamento. Tutte le mattine corsa al lago se no mi perdo Lele.
Io, l’educatrice sono chiamata a renderlo più simile agli esseri che popolano la nostra civiltà. Lui, il cucciolo senza legge, è chiamato a rendermi la mia anima primordiale e vera. Nasce un amore senza fine, che non ha bisogno di scarpe ai piedi per camminare sull’erba bagnata, che non ha bisogno di niente se non di una palla e del suo vento…non è più l'allievo, non sono più l'educatrice, non è professionale, no, neanche un po’...non è un legame di sangue ma è solido e vero come il più profondo di questi...
Passiamo pomeriggi mattine e sere a studiarci, fidandoci e diffidandoci. mi tira scarpe, calci, capelli, tavoli. ha paura. poi si decide e decide che forse provando a volermi bene non corre troppi rischi. Io mando via i due super machi. Einiziamo l'opera di mediazione. Io entro nel suo mondo andando in giro scalza e dormendo sul prato con lui dopo pranzo. Lui entra nel mio venendo a magiare al refettorio con tanto di forchette e coltello e cambiandosi i vestiti senza fare storie....
Poi andiamo a scuola insieme, a piedi, senza pulmino, cammina da solo senza mano: non l'aveva mai fatto e ogni tanto mi dice: sono bravo eh?
Andiamo a cavallo, andiamo in piscina, tiriamo palle al cielo, aspettiamo il vento... per cinque anni...
Poi mi cambiano di reparto e...
Lele torna ad essere guardato a vista. Lo mandano via da scuola, è di nuovo stordito. Mi viene a trovare, ogni tanto. Si butta sul divano, con i due tipi alle calcagna, mi dice "sei la fidanzata mia"... ed io penso che fa tutto schifo, che al diavolo la professionalità e al diavolo l'umiltà solo il nostro amore aveva avuto la forza di strappare Lele dalla prigionia della sua folle paura.....
Poi... è morto, nel sonno
E la cosa strana o forse la cosa semplicemente naturale che succede è che la sera che lui è morto alle 22.40 mi chiama Pierluigi. Eravamo andati a scalare insieme e si era dimenticato delle cose importanti. Ero tornata da neanche mezz'ora ma già dormivo davanti al televisore. Squilla il telefonino ed io penso che è la sveglia. Mi alzo e preparo il caffè pronta ad andare al lavoro. Dopo una decina di minuti risuona il telefonino. E’ il secondo segnale della sveglia, penso. Faccio per spegnere e mi rendo conto che c'è Pierluigi al telefono. Che ti ho svegliato? No sono pronta per andare al lavoro... Al Lavoro? Così presto... Eh, sì, io sono mattiniera ma tu che ci fai alzato a quest'ora? ...Ma, veramente io non sono ancora andato a letto, sono le 23...
Non mi era mai successo. Non avevo considerato il buio fuori dalla finestra, non avevo considerato nulla... quella notte io "dovevo" andare a lavoro... e invece, mi rispoglio e mi rimetto a letto.
La mattina poi...
Tu, piccolo uomo innamorato delle palle, senza pensarci, senza fermarti, te ne sei andato in una notte di luna piena ad afferrare la più bella di tutte che enorme brilla come un occhio potente e allegro in questo buio totale. Non torni indietro. Rimani incastrato anche tu tra i rami più alti di qualche albero alto…e forse poi alla fine ti accorgi che quella non era nemmeno la tua palla….
E poi sono egoista e non sopporto l'idea che tu possa giocare con qualche altro e ... sono pure presuntuosa...magari lassù o laggiù o dove ti sei andato a infilare, ti senti solo, magari hai paura...magari non capisci che succede...
Ti ricordi? una volta mentre stavamo ad aspettare tranquilli sul prato improvvisamente avevi cominciato ad urlare ti eri alzato, e ti eri messo a correre, ti eri avventato addosso a me, poi ti eri buttato per terra, avevi cominciato a morderti e a mordermi, eri devastato. Non capivo, neanche tu capivi. continuavi ad urlare. Quando finalmente ero riuscita a farmi vedere e "sentire" dal profondo della tua disperazione mi avevi detto "mi ha mozzicato una farfalla (lo aveva punto un ape) gli meni tu?...è cattiva la farfalla" e poi ti eri calmato scoppiando in un pianto disperato. Ti eri lasciato avvicinare e coccolare....
Magari un altra farfalla ti punge di nuovo ....
Mi devasta, pensarti solo in cerca della tua palla, della tua stecca alta quattro metri che ti serviva laddove il vento non arrivava, in cerca di qualcuno che ti aiuti a capire perchè non c'è più quello che c'era prima, non c'è più CHI c'era prima con te, a spiegarti perchè non ci sono più io a passeggiare insieme, a dormire insieme, ad urlare a squarciagola cantando senza un minimo di senso dell'armonia, a spiegarti che le farfalle non sono cattive e che il mondo ti vuole bene....
E non ci sei più tu a spiegarlo a me........
No, non posso lasciarti andare così.
18 giugno2006
Preparo lo zaino: corda, scarpette, imbrago, casco e la tua palla, piccolo amore mio. Sì questa volta verrà anche lei a scalare con me. Lo spigolo dell’Orfento, quello spigolo sempre baciato dal vento, sarà per te custode del tuo tesoro fino a che un soffio amico te la porterà lassù tra i rami alti dove stai dondolando accarezzato dalle foglie mentre io, quaggiù, che faccio io?...aspetto il vento…
Sui rami più alti dell'albero più alto del pianoro che domina le pareti della valle dell'Orfento ora uno strano frutto maturo... la tua palla. Pierluigi l'ha sistemata bella incastrata perchè non fosse il primo vento che capita a portarla via. Deve essere quello giusto. La lasciamo prima di raggiungere l'attacco della via con una doppia attaccata ai rami di un albero. Sono felice, veramente. Questo è il posto dove si può restare a giocare in eterno. E’ pieno d'aria e di luce e poi c'è il sole che fa brillare tutto intorno. Scaliamo al caldo, quello giusto che non fa sudare le mani , quello che si avvicina solo per darti tanti baci sulla pelle, piccole carezze.... Sono impegnata molto impegnata ad uscire da questo tiro-capolavoro. Una placca levigata e verticale. Bisogna studiarla attentamente per scoprire le ancore di salvezza che ha disseminate qua e là. "C'è Emanuele" mi urla dall'alto Pierluigi. "????" Lo guardo senza capire. Non ha l'aspetto di uno scherzo e poi non scherzerebbe mai su una cosa come questa. Sa quanto sono stata male. "Due farfalle ti stanno volando intorno da quando sei partita..."
Ultimo tiro. Usciamo sul pianoro. Una distesa infinita si apre intorno a noi: prati, cielo, alberi, pareti: cosa altro potrebbero volere i nostri occhi? Rocce piatte distese come tappeti costeggiano il bordo del precipizio. sono abbastanza ampie da potercisi sdraiare sopra senza correre rischi. E lo facciamo. Chiudo gli occhi. è il posto giusto per Lele. "E’ tornato Emanuele". Apro gli occhi e seguo con lo sguardo la mano di Pierluigi: una farfalla svolazza intorno alle mie scarpette.... “Sarebbe bello ... ma tu Lele avevi paura delle farfalle”
Al lavoro incontro Lia che è rimasta con Lele l’ultimo pomeriggio della sua vita terrena. Gli racconto della palla, dell’Orfento, della farfalla. Lei piange in silenzio. Poi inizia a parlare. "Quel pomeriggio Lele correva e allargava le braccia … e mi diceva guarda Lia, sono una farfalla.”
23 ottobre 2011
Sono passati cinque anni e qualche mese. Non avevo più messo piede in quel posto fino ad oggi. Mi fa strano essere qui ai piedi dell’albero dove avevamo lasciato la palla. Racconto a Alberto e a Noris di Lele. “Fino a qualche anno fa c’era ancora la palla” dice Pierluigi “era caduta tra quel mugo e quello sperone di roccia, poi forse Lele se l’è presa o il vento… non l’ho più vista”
"Non gli duravano mai le palle a Lele ..." dico io ripensando a tutte quelle che aveva bucato.
Scendiamo tutti verso il mugo e guardiamo il vuoto davanti. Tutti tranne uno. Pierluigi no, va nel mugo, ci entra dentro. “Lo sapevo, lo sapevo, l’ha rimessa a posto perché tornavi tu”. E mi allunga la palla…. la nostra palla.
Cinque anni e sta ancora qua. ed io sono di nuovo qua. e anche tu Lele sei ancora qua. Qua e dentro di me.