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E quello che invece hai più odiato? C'è stato un momento in cui non avresti voluto star facendo quello che stavi facendo? Non essere su una data montagna, cacciato in una determinata avventura o presa da quella esperienza?
I momenti che ho odiato – e che odio – durante la mia attività, sono i tempi morti. O meglio, più nello specifico, tutti i tempi in cui non sono in grado di comprendere le ragioni dell’attesa. Posso sopportare il cattivo tempo per settimane stando al campo base di una grande montagna, rintanato nella mia tendina, senza problemi. Ma non posso sopportare l’idea di essere in balia di qualcuno, di un fotografo o di un filmer ad esempio, nemmeno per un’ora, se quest’ultimo non condivide con me l’idea del lavoro che ha in testa o del progetto che deve realizzare. Tutte le volte che ho desiderato di non essere in un determinato posto o di non essere impegnato in una data cosa è successo perché ero impegnato in una cosa che in fondo non mi interessava per davvero. Con il tempo ho imparato a dire di no, a rinunciare alle esperienze che non mi parevano in sintonia con la mia visione delle cose e i momenti di “scazzo” si sono significativamente ridotti.
Leggendo qua e là, mi è sembrato di aver capito che ora sei lanciato verso una nuova avventura… Scuola Holden e la scrittura creativa. Cos'è, non ti bastavano più le 30 righe degli editoriali o vuoi provare a raccontare qualcosa di più lungo e impegnativo? Qual'é l'obiettivo di questa progetto?
Scrivere gli editoriali di FREE.rider in realtà ha rappresentato per me un grande limite. Se ci fai caso, a un certo punto, ho quasi smesso di scrivere degli articoli per la rivista, scrivevo quasi solo gli editoriali. Questo perché c’era una specie di conflitto irrisolto tra la posizione di direttore e quello di protagonista delle avventure di cui tuoi lettori vogliono leggere. E tra le due cose io di solito preferivo mettere da parte il me atleta e il me giornalista piuttosto che mettere da parte un altro autore o un altro atleta. Spesso lo facevo a malincuore, perché a volte mi sembravano più autentiche le mie storie e non sempre a me piacevano le storie che pubblicavo. Non sempre le condividevo o mi sembravano scritte bene, semplicemente cercavo di metterle in sintonia con il progetto editoriale e con il gusto che immaginavo essere quello dei lettori. Però io in fondo in fondo le mie storie me le dovevo tenere nel cassetto, perché mica potevo andare a darle ad altri giornali di sci. Ad un certo punto questo meccanismo mi ha un po’ logorato e devo confessare anche un po’ nauseato. Intorno a me avevo una infinità di persone con mille pretese, mille richieste, spesso pronta solo a criticare o a denigrare il lavoro che facevo. A un certo punto ho un po’ perso l’incanto e la stima che avevo per alcuni collaboratori e per una fetta dei miei lettori. I freerider – un certo tipo – e più in generale gli alpinisti mi hanno stancato, con le loro piccolezze, la loro visione limitata delle cose e le loro presuntuose pretese. Ho capito che quelli che apprezzavano i miei editoriali erano persone come me, appassionati e sciatori, ma anche no. C’era anche gente comune che di quello che scrivevo apprezzava l’atmosfera o la narrazione, non necessariamente la performance sportiva. In un certo senso il freeriding della scrittura è la libertà di uscire dal genere, di rendere le emozioni dello sci universalmente comprensibili, anche a chi le montagne le conosce solo sulla carta. Il mio master alla Scuola Holden è il desiderio di comprendere ed ampliare la mia capacità di utilizzare gli strumenti e le tecniche dello storytelling e della narrazione. La cosa davvero strepitosa è scrivere di cose che non hanno niente a che vedere con la montagna e con l’alpinismo e essere libero di utilizzare il mio background di alpinista come sottofondo, come strumento, come tappeto espressivo su cui stendere tutti gli altri mondi di cui mi voglio occupare. La scrittura di montagna, che è una scrittura di genere, non rappresenta né l’origine né il punto di arrivo del mio desiderio di raccontare delle storie, semplicemente è una parte del mio mondo. E i mondi di cui sto scrivendo o raccontando adesso sono tutta un’altra cosa. Fermo restando che quando alla partenza della seggiovia mi ferma uno che mi dice che a casa sua, nel suo bagno, ci sono tutti i numeri di FREE.rider e che i miei editoriali li avrà letti migliaia di volte, penso che allora anche io, a trenta righe alla volta, sono diventato uno scrittore.
Devo dire che ho molto apprezzato il tuo scritto raccolto nel volume "I solitari" curato nel 2005 da Fabio Palma per VersanteSud. In un volume dedicato ad avventure vissute in solitudine in montagna e in cui l'alpinismo logicamente fa la parte del leone, tu descrivi invece le emozioni provate invece durante la traversata in notturna di un lago. Un effetto straniante ma sicuramente coinvolgente! Fai o hai fatto mountainbike, corsa, snowboard e sci, arrampicata, tutte esperienze che coinvolgono se stessi e l'ambiente che ci circonda più che se stessi e gli altri. E' strano, perché mi sembri invece un tipo estremamente sociale. Com'è allora il tuo rapporto con i compagni d'avventura?
Io sono una persona che va a corrente alternata. A volte sono estroverso e mi piace stare in compagnia, mi piace divertirmi e condividere delle cose, dei momenti, delle situazioni, degli spazi. Altre volte ho bisogno di aria, del mio spazio, di silenzio. Di nessuno che mi fa domande. Di nessuno che mi chiede il perché delle cose. A me piace stare ad osservare e analizzare le cose che sento o che immagino sentano gli altri intorno a me e per fare questo ho bisogno, a volte, di allontanarmi, di restare da solo, di isolarmi dal contesto in cui sono. Non è una cosa strana, credo. Forse solo, un po’ più di altri, sono consapevole della possibilità di potere convivere con i miei dubbi, con le mie incertezze, con le mie imperfezioni e con i miei limiti, senza tentare di confonderli o di diluirli in mezzo agli altri o in un continuo fare e ancora fare, senza mai fermarsi. A me, ad esempio, piace tantissimo andare a sciare da solo. Girare tutto il giorno su e giù dallo stesso pendio per sentire delle cose, per provare a capirle, per isolarle dal caos. Oppure semplicemente così, perché mi piace, per il gusto di non pensare assolutamente a niente e per non dovere dire neanche una parola per tutto il giorno. Forse per qualcuno sciare da solo, pedalare su una bici a cronometro per ventiquattro ore di fila senza fermarsi o farsi paura da morire attraversando il Lago di Garda di notte, è triste. A me piace.