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TRAVEL
Il vero coraggio
martedì 21 dicembre 2021
Ho iniziato a sciare da adulto un paio di anni prima di iniziare ad arrampicare. Prima avevo speso le stagioni sui campi di pallacanestro, come giocatore e poi come allenatore. L'avventura fra i monti e i mari la sognavo, ma non avevo modo di viverla. Da ragazzo era stato già tanto riuscire a sopravvivere alla dura scuola di un quartiere di periferia. Quella sì che era avventura. C'erano periodi in cui non sapevi se saresti riuscito a tornare a casa senza affrontare, pugni chiusi e sapore di sangue sulle labbra, quanti la sorte ti metteva davanti. A parte gli anni delle elementari, medie e superiori furono un banco di prova tale da far crescere il pelo sullo stomaco. Almeno adesso lo ricordo così quel periodo, anche con distacco magari, ma certo non con nostalgia. Qualche anno dopo scoprii che andare in montagna, camminare in un bosco fuori dai sentieri, provare a scendere un pendio sci ai piedi, arrampicare su una parete di roccia, richiedeva meno coraggio di quello che mi era stato richiesto negli anni precedenti anche solo per uscire di casa. Forse fu per questo che affrontai la vera prima gita di scialpinismo, o per meglio dire di sci fuori dalle piste, con ai piedi un paio di sci da fondo senza lamine alti due metri e dieci centimetri e con attacchi 75mm di quelli in metallo leggero e da binario. Con un paio di amici, quel giorno, ci recammo al Gran Sasso e con la cabinovia salimmo fino alla stazione superiore di Campo Imperatore, quella vicino all'Osservatorio Astronomico. Scendemmo per una pista e fui persino un po' sorpreso di riuscire a concatenare curve con un simil parallelo su quella neve dura e con quegli sci leggeri che vibravano a ogni cambio di direzione. Prendemmo poi a salire, seguendo la cresta, senza pelli, facendoci bastare per avanzare in salita la scolpitura sotto la soletta e aiutandoci con un po' di spina di pesce. La nebbia che c'era scomparve mano a mano che la cima al Monte Scindarella si faceva più vicina. Sul versante della Vallefredda la neve era più bella di quella delle pista e qui cominciammo a scendere con ampie curve. Quando la pendenza aumentò ci spostammo verso destra, cercando pendii che ci sembravano più semplici. In realtà erano solo più ampi e mentre mi preparavo a curvare, la punta dei miei lunghi sci sparì sotto la neve pesante e fui catapultato in avanti. La testa si infilò nella neve e un crack alla base della nuca mi regalò la visione di una lampo rosso e poi nero davanti gli occhi. Il torcicollo durò per diversi giorni. La voglia di scivolare sulla neve non terminò invece. Quando le finanze lo permisero, decisi però di regalarmi un nuovo paio di sci. Questa volta con le lamine e un attacco da telemark della Rottefella in metallo pesante. Erano anche più corti di quelli da fondo, "solo" due metri e cinque centimetri. La voglia di vivere queste nuove avventure, vere avventure, non smise per fortuna mai di crescere.